Linee guida dei giovani commercialisti sulle norme penali contenute nel Codice antimafia

Crescono sequestri e confische

Serve una riforma per accelerare la fase di destinazione

DI PAOLO FLORIO*
E MARCO ANESA**

Le norme penali in materia di sequestri e confisca, contenute nel Codice antimafia (riformato in ultimo con la legge 161/2017), quale strumento nella lotta alla criminalità organizzata e in genere a quella economi- ca, consentono di sottrarre beni frutto o reimpiego di attività illecite, con l’in- tento di restituirli alla collettività. Obiettivo delle disposizioni è limitare la disponibilità economica di provenienza illegale e al tempo stesso eliminare dal sistema economico elementi «tossici», origine di concor- renza sleale. In tal senso, l’efficacia della norma, che prevedeva originariamente il contrasto ai soli fenomeni di tipo «mafioso», ha spinto il legislatore (non esente da critiche) ad ampliare la platea dei destinatari, includendo anche diversi specifici reati (tra cui quel- li contro la pubblica ammi- nistrazione) e, in genere, la categoria residuale dei soggetti che vivono abi- tualmente con i proventi di attività delittuose, come l’evasore fiscale o il banca- rottiere «incallito».

Il meccanismo di funzio- namento delle misure si basa sulla presunzione che chi può acquistare beni, ed è un soggetto socialmente pericoloso, deve poter dimo- strare la provenienza del- le somme se il suo reddito non è congruo alla spesa. Si procede nell’individuare soggetti che dalla preci- sa analisi del «curriculum criminale», in base ai rea- ti commessi nel corso del tempo, possono essere qua- lificati come «socialmente pericolosi» per l’ordine pub- blico. Accertata la pericolo- sità da parte del tribunale, che deve essere «abituale» e non necessariamente «at- tuale», scatta la legittimità di un meccanismo presunti-

vo volto a verificare la con- gruità del reddito. A nulla può servire la giustificazio- ne che i redditi provengono da evasione fiscale (che di per sé può in determinati casi raffigurare fattispecie criminali e delittuose).

Se c’è sproporzione, e la stessa si verifica nel periodo di tempo in cui il soggetto è stato qualifica- to socialmente pericoloso, scatta il sequestro dei beni acquistati. Il sequestro può coinvolgere eventuali «pre- stanomi» sempreché ne sia dimostrato il collegamento. Si apre, quindi, il contrad- dittorio con la parte e se non si supera la presunzio- ne, si passa alla confisca, in un procedimento che prevede tre gradi di giu- dizio (l’ultimo quello della Cassazione).

Tra le novità di rilievo della recente riforma vi è la maggiore tempestività in cui si dovrebbe giungere al provvedimento definitivo di confisca, anche grazie alla creazione di sezioni spe- cializzate presso le Corti d’Appello. In seguito al se- questro e prima della con- fisca, la gestione dei beni è affidata in «custodia» ad un professionista nominato dal Tribunale (nella maggior parte dei casi un dottore commercialista) che, sot- to la direzione del giudice deve amministrarli, al fine di incrementare, se possibi- le, la redditività.

L’Albo degli amministra- tori giudiziari, pubblicato sul sito del ministero del- la giustizia, è in costante aggiornamento: a metà gennaio 2018 risultano n. 1.666 iscritti nella sezio- ne ordinaria e n. 808 nella sezione esperti in gestio- ne aziendale. Il numero di iscritti in quest’ultima sezione deve far riflettere: confrontando la quantità dei sequestri disposto ogni anno, con il numero dei professionisti presenti (n. 808) è evidente come non vi siano ad oggi ammini-

stratori giudiziari in nu- mero sufficiente rispetto agli incarichi da affidare per la gestione delle azien- de. Il nodo è che un limite puramente «quantitativo», individuato dalla norma in tre incarichi, sebbene pru- denziale, data la materia, può non servire al fine. Al di là di un’esatta definizio- ne di ciò che deve essere considerato «incarico» di amministrazione giudizia- ria, è evidente che l’indi- cazione numerica potrebbe essere troppo o troppo poco: esistono realtà aziendali da elevata complessità o, di contro, aziende dalla sem- plice gestione. Si dovrebbe trovare un giusto equilibrio per garantire l’esigenza di permettere all’attuale pla- tea di professionisti (tra cui in primis i dottori com- mercialisti), soprattutto giovani, che si dedicano, o che comunque intendano dedicarsi, a tale attività, di specializzarsi, investire in formazione e creare strut- ture adeguate.

Gli strumenti legislativi attuali hanno consentito di disporre un numero elevato di sequestri (in buona par- te poi confluiti in confische) in costante aumento se si analizzano i dati degli ulti- mi anni. Per comprendere la portata e dimensione del fenomeno delle confische basta osservare i dati ripor- tati sul sito dell’Anbsc: al 15 gennaio 2018 risultano in gestione 17.275 immobili di cui 13.040 già destinati e 2.883 aziende di cui 878 già destinate. Nel 2017 sono stati destinati 2.276 beni immobili e 15 aziende.

L’amministratore giudi- ziario resta in carica fino al giudizio di II grado: dopo la confisca in appello la gestione dei beni viene, invece, trasferita all’Anb- sc che, dopo la definitività della confisca, provvede alla destinazione.

Le criticità maggiori sus- sistono, proprio, nella fase della destinazione dei beni,

che risente di specifiche problematiche, da supera- re con un importante inter- vento legislativo. La fase della destinazione rappre- senta il momento conclu- sivo di un procedimento di legalità e quindi di estremo rilievo, per dimostrare alla collettività intera l’effettivo funzionamento del Sistema. Non ha senso sequestrare e confiscare beni se poi gli stessi gravano su uno Stato che non riesce a ge- stirli ovvero a ricollocarli sul mercato. La creazione di uno specifico ente qua- le l’Anbsc, nata nel 2010 e più volte modificata, non ha apportato quella svolta tanto attesa ed auspicata. Il bene confiscato è un bene pubblico, un bene di tutti, e per essere tale deve esse- re visibile e così percepito dalla collettività. Crucia- li diventano, in tal senso, campagne di marketing e sensibilizzazione dei citta- dini, volte a dimostrare che il crimine non paga e che di quella ricchezza lo Stato se ne è riappropriato, in modo efficiente ed efficace. Ciò è ancor più significativo in quei territori e contesti am- bientali, considerati ad alta intensità mafiosa, dove il bene, confiscato e reinserito nel conteso economico, svol- ge un’importante funzione educativa per la collettività e la crescita del territorio, confermando la presenza dello Stato di diritto.

Diversamente accade che la destinazione è solo appa- rente: i diversi enti pubbli- ci (primi fra tutti i comuni, ma non solo) non riescono né a conservare i beni né a gestirli, non avendo spesso le risorse economiche per le spese più elementari quali la semplice manutenzione. Così operando, ogni confi- sca ha una scarsa utilità educativa, determinando solo enormi costi senza alcun risultato concreto: anzi l’immagine che si dà all’opinione pubblica è as- solutamente negativa, con- fermando l’incapacità dello Stato di gestire la propria ricchezza. A tutto ciò si ag- giunge un eccessivo livello di burocratizzazione della fase della destinazione, che vede coinvolti enti pubbli- ci diversi (primi fra tutti l’Anbsc, l’Agenzia del dema- nio, il tribunale, i comuni, le prefetture e altri enti) con sovrapposizioni di ruo- li e interventi, che anziché

semplificare determinano solo confusioni e rallenta- menti. Quali allora le pro- poste e possibili soluzioni? La vendita dei beni (anche immobili) confiscati ai pri- vati e al mercato non deve più essere considerato un «tabù» dal legislatore (non è possibile secondo l’attuale normativa) per la preoccu- pazione che possano esse- re riacquistati dagli stessi soggetti a cui erano stati sequestrati: in alcuni casi resta l’unica scelta percor- ribile se non si vuole evi- tare l’abbandono dei beni. Non vi è dubbio che tale procedimento debba essere sottoposto a tutele rafforza- te, soprattutto nella verifica della controparte acquiren- te. I beni confiscati dovreb- bero essere pubblicizzati con specifiche campagne di comunicazione e sensi- bilizzazione dei cittadini, affinché gli stessi possano essere utilizzati per fini so- ciali e per il lancio di nuovi progetti imprenditoriali, anche privati, accompa- gnati da eventuali finan- ziamenti pubblici: dovreb- be essere possibile per ogni cittadino poter accedere in modo semplice su internet ad un database pubblico dei beni confiscati con fotogra- fie, localizzazione e schede tecniche.

Vi sono poi le somme di denaro già liquide e seque- strate e gestite dal Fon- do unico di giustizia (che rappresentano un importo vicino ad una manovra fi- nanziaria) che devono esse- re destinate in larga parte per finanziare e migliorare la fase della destinazione dei beni confiscati, onde evitarne l’abbandono.

Per ultimo, è necessario dimostrare, da parte del legislatore, di voler effetti- vamente rilanciare il ruolo dell’Anbsc, non come il so- lito ente statale eccessiva- mente burocratizzato ma con investimenti impor- tanti in termini di persone (che devo essere stabilmen- te legate all’ente), capacità e approccio, anche di tipo economico oltre che fina- lizzato all’ordine pubblico, tenendo in debito conto il ruolo e il contributo dei professionisti coinvolti nel percorso verso la legalità.

* Tesoriere Fondazione centro studi Ungdc ** Consigliere fonda- zione centro studi Ungdc